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Madrid, destino Colchonero

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Può il destino avere sempre ragione? Magari no, ma non ditelo ai tifosi dell’Atletico Madrid. I fans Colchoneros, letteralmente i materassai, stanno vivendo una delle pagine più incredibili della loro storia. Sicuramente quella dal punto di vista recente per un club che non è di quelli, diciamo, dalla storia banale. Niente banalità dunque anche perché sinceramente come si fa a essere banali in un contesto dove tutti i giorni sei costretto a fare i conti con quelli dell’altra sponda, i cugini del Real per intenderci, e visto che non ci si fa mancare nulla in casa biancorossa, ci sarebbero anche quelli del Barça, diciamo nella sua fase storica maggiormente densa sotto diversi punti di vista. Contesto non proprio semplice dunque, sia ma per cosa. Già perché il punto in questione è, cosa ha a che fare il destino con l’Atletico di Madrid.

Bisogna, andare con ordine. Cosa sia l’Atletico, ovvero una squadra di calcio è cosa nota, cosa sia il destino per questi qui beh è forse chiedere troppo se non ché, per capire di cosa si tratta è bene fare un piccolo passo indietro di quarant’anni e tornare a quel 15 maggio del 1974.

Finale di Coppa dei Campioni. Stadio: l’Heysel di Bruxelles, famoso purtroppo per una delle peggiori tragedie che il calcio mondiale abbia conosciuto. In campo a contendersi la coppa dalle grandi orecchie, l’Atletico Madrid e il Bayern Monaco. Per entrambe una prima assoluta, anche se gli spagnoli una finale l’avevano già giocata: quella di Coppa delle Coppe nel ’62, vincendo contro la Fiorentina. In finale le due squadre ci sono arrivate in crescendo ma senza strafare. Gli spagnoli nell’ordine si sono sbarazzati del Galatasaray al primo turno, poi della Dinamo Bucarest negli ottavi e avendo la meglio prima della Stella Rossa nei quarti, poi del Celtic Glasgow in semifinale.

Per i tedeschi invece un percorso più accidentato con gli svedesi del Atvidaberg nel turno preliminare, poi lo spettacolare derby con brivido contro la Dynamo Dresda prima di due turni tutto sommato agevoli contro CSKA Sofia e i magiari dell’Ujpest. In un clima ossianico si gioca una finale non bellissima ma sicuramente intensa con le due squadre che di fatto si annullano. Nelle file degli spagnoli si mette in mostra un portiere niente male di nome Reina, che anni dopo darà al mondo e al calcio un figlio anche lui niente male, a tutto’oggi protagonista tra i pali del Napoli. C’è anche tale Luis Aragones, allora attaccante poi in seguito CT della Roja Campione d’Europa nel 2008. Dall’altra parte ci sono invece un gruppo di ragazzi quasi tutti bavaresi, venuti su sin dalle giovanili e negli anni cementati da eccellenze della panchina come gli jugoslavi Zlatko Čajkovski e Branko Zebec prima, ma soprattutto con Udo Lattek, uno che nella storia del calcio si ritaglierà una pagina di rilievo e tra l’altro l’uomo che i napoletani dovrebbero ringraziare più di tutti perché anche per suo merito o meglio anche per colpa sua Maradona andò via dal Barcellona, destinazione Napoli.

Tra questi ragazzi comunque ce ne sono alcuni che scriveranno intere pagine della storia calcistica mondiale. C’è il portiere Sepp Maier, c’è Breitner, un giovincello dalla zazzera prominente che ara la fascia mancina come pochi. C’è Uli Hoeneß, buon centrocampista prima, ottimo dirigente poi, seppur con qualche recente sbavatura di carattere privato. In avanti invece c’è Gerd Muller, un tracagnotto non troppo alto con un istinto del goal mortifero, mentre a comandare il gioco, da capitano e leader indiscusso e indiscutibile c’è il Kaiser, Franz Beckenbauer, una delle prima cinque o sei teste pensanti di questo gioco, da calciatore, da allenatore e infine da dirigente, ruolo che ricompre attualmente, sempre nel Bayern.

Una generazione di talenti contro dei buoni talenti in una finale che però non si schioda dal risultato di parità iniziale. Non basta una gara intera per dare al mondo il diciannovesimo vincitore della Coppa Campioni. Si va ai supplementari e bisogna attendere il 114’ quando Aragones la mette dentro per la gioia del popolo colchonero. Sembrerebbe tutto fatto ma dall’altra parte c’è una generazione di talenti immensa, non solo dal punto di vista calcistico. Rimessa la palla in gioco il Bayern infatti, pareggia con un difensore, tecnicamente il più scarso del gruppo e dunque al 119’ è parità.

A quel tempo non esisteva la possibilità dei rigori e la partita viene ripetuta, due giorni dopo, sempre nello stesso impianto, ovviamente di nuovo pieno per l’occasione. Questa volta però non c’è storia e a vincere, nettamente sono i bavaresi con una quaterna targata Hoeneß e Muller. Per i tedeschi sarà la prima vittoria di un terno consecutivo che metterà sulla cartina un club destinato negli anni a restarci. Per gli altri, ovvero l’Atletico, un’occasione sfumata e il rientro di fatto nella realtà di seconda della classe in una città sottomessa non solo calcisticamente dalla strapotenza del Real Madrid. Per la gente che anno dopo anno ha affollato il catino del “Vicente Calderon” questi due club, Bayern e Real han rappresentato un senso di frustrazione, di rimpianto da una parte per ciò che poteva essere e non è stato, dall’altra di un malessere quotidiano, asfissiante, per la superiorità generica degli altri, cugini sulla carta ma agli antipodi in tutto.

Un destino segnato ma che all’improvviso riserva un’occasione unica, di quelle che al massimo si possono sognare tra le pieghe del proprio letto, di nascosto vista la quasi assurdità del caso. L’occasione della vita per l’Atletico è nelle beffe di una stagione fantastica con la supremazia in campionato a poche giornate dalla fine e soprattutto, la possibilità di giocarsi, Chelsea di Muorinho permettendo, la finale di Champions League che, non sarà la vecchia Coppa dei Campioni ma di certo non fa schifo a nessuno. Ok la finale, un’occasione unica a quarant’anni di distanza. Unica si, soprattutto perché in finale potrà incontrare una tra Bayern Monaco e Real Madrid.

Poi uno dice il destino.